lunedì 31 gennaio 2011

Prostituzione colpevolizzata? Monica Lanfranco di Marea apre una discussione

Riceviamo da Monica Lanfranco di Marea ( http://www.mareaonline.it/ ) un intervento che pubblichiamo:

I numerosi cartelli che c'erano al flash mob di Torino con su scritto 'Cavaliere, l'Italia non è una repubblica fondata sulla prostituzione. Dimissioni' sono sembrati efficaci alla maggior parte di noi a Genova, che infatti li hanno ripresi al flash mob genovese. Qualcuna ha sostenuto che quella scritta dava adito ad una 'colpevolizzazione' della prostituzione, e rischiava di spostare l'attenzione sul centro del problema, ovvero sul fatto che siamo governate e rappresentate da una classe politica corrotta e iniqua. Alcune hanno sottolineato, anche sulla stampa, che se qualcuna si vuole vendere per scelta è libera di farlo e che sono fatti suoi.
Mi sento di dire che liquidare la questione del mercimonio delle giovani (e del consenso dei padri, madri e fidanzate, come ho scritto nel pezzo dal titolo Magari, uscito su Liberazione la scorsa settimana ) come fatti privati è pericoloso.
'Sono fatti loro' è una frase ambigua: il pensiero e la pratica femminista si è lungamente interrogata sul valore simbolico delle scelte, laddove non solo i grandi mutamenti legislativi ma prima di essi i comportamenti che da individuali diventano esempio collettivo e rompono la tradizione spesso assumono importanza centrale.
E' stato così nel mondo del lavoro, nelle famiglie, nella società.
Fa o no simbolicamente ( e quindi politicamente) la differenza che le giovani che vengono da paesi a maggioranza islamica dicano sì o no ad indossare il velo?
E' o no simbolicamente ( e quindi politicamente) rilevante che le donne in nero a Gerusalemme abbiamo detto di essere contro la politica del loro governo verso i palestinesi, pur sapendo il rischio di essere tacciate di antiebraismo?
Sono d'accordo che l'enfasi è da porre sul cliente, e non sulla prostituta,ce lo insegnano le nordiche che hanno pensato, sul tema della compravendita sessuale, a porre l'accento per una volta non sulla donna ma sull'uomo, che da noi si dà per scontato che in quanto maschio abbia connaturato nel dna la rapacità sessuale seriale.
Penso però che se non mettiamo a tema che essere libere non è fare quello che ci pare, ma ragionare sulla libertà in connessione con la responsabilità e la competenza non rendiamo giustizia al percorso che, almeno in Italia, dalla proclamazione della repubblica fin qui quattro generazioni di donne dei femminismi hanno fatto.
'Io sono mia', sempre per come la vedo io, non significava che quindi mi sarei potuta vendere, ma assolutamente il contrario.
Rispetto il percorso di Carla Corso e Pia Covre, e ho stimato fino all'ultimo il lavoro di Roberta Tatafiore, pur nella grande distanza di alcune visioni e riflessioni. Resto però dell'idea, per citare un vecchio articolo di Rossana Rossanda, che accanto alla necessità di smascherare l'ipocrisia di chi invoca la morale pubblicamente e poi nel privato è utilizzatore finale ci sia anche quella di affermare che in una società equa e giusta l'orizzonte di libertà non è quello della vendita di sè, per quanto scelta:connettere sessualità e denaro è comunque un atto che automaticamente inscrive questo gesto dentro al mercato, e quindi non cambia per nulla la logica capitalistica e neoliberista nella quale oggi siamo prigioniere e prigionieri. Non eravamo noi che dieci anni fa come femministe a Punto G dicevamo che ci sono beni indisponibili, e tra questi, oltre alle risorse del pianeta, c'era la dignità e l'inviolabilità dei corpi da strappare alle logiche del neoliberismo? Il fatto che oggi sia scontato che se sei carina puoi aspirare a fare la velina (magari passando dal letto del produttore, come nel film Ricordati di me) non mi pare possa essere annoverato come un traguardo raggiunto anche grazie alle lotte delle donne.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Riporto parte di una mail scritta qualche tempo fa ad un amico che m'interrogava in merito alle note vicende di attualità politica italiota.
Non si tratta di un pensiero compiuto, ma di alcuni "appunti" che mi pare riecheggino in qualche modo la riflessione di Monica Lanfranco.

Un discorso a parte meriterebbe poi il problema del “vendersi”: del vendere il proprio corpo (vendere il proprio tempo e/o le proprie mani sul lavoro, oppure vendere le proprie prestazioni sessuali, ecc.) del farlo liberamente e perché e percome. E’ una questione che mi ha sempre affascinata, di cui mi è capitato di discutere con molte e molti e sulla quale il femminismo si interroga da decenni. Tra i famigerati corsi “150 ore delle donne” delle mie lavoratrici negli anni Settanta ce n’è stato appunto uno sul tema della prostituzione, i collettivi di donne prostitute che hanno incrociato il loro percorso con la teoria e la pratica femminista non si contano, quindi mi pare un dato assodato il fatto che affrontare la questione non ci spaventa affatto. Personalmente mi sono sempre domandata se sia possibile equiparare del tutto il vendere il proprio corpo nel mondo del lavoro diciamo “ordinario” oppure in prestazioni sessuali.
I quesiti al riguardo che mi pongo sono:
1)Se pure si sta ultimamente assistendo ad una parziale inversione di tendenza, quali e quanti condizionamenti storici e culturali determinati dalle relazioni di potere e dall’accesso a quest’ultimo determinano il fatto che tendenzialmente per una donna sia più facile arrivare a pensare di vendere il proprio corpo per prestazioni sessuali, mentre un uomo – pur in stato di grave necessità – prima di determinarsi ad una scelta del genere è probabilmente disposto a vagliare qualunque altra possibilità? Come varia, dunque, tra uomini e donne la percezione del valore del proprio corpo in relazione al piacere proprio e altrui?
2)Il rapporto sessuale è davvero equiparabile ad un qualunque altro compito lavorativo? Il fatto che il primo si realizzi nella relazione (più o meno superficiale, più o meno intima) tra persone, non ha alcun peso? Personalmente ho sempre ritenuto importante sottrarre all’imperante logica del profitto almeno qualche aspetto dell’esistenza umana. Il fatto che a tutt’oggi sopravvivano forme di gratuità dei rapporti come l’amicizia, il volontariato, il dono ed altre mi pare di fondamentale importanza. Nella mia vita le relazioni affettive e quelle sessuali rientrano da sempre in questa sfera di libertà e gratuità regalandomi serenità e gioia, ma mi rendo conto che sia legittimo domandarsi se il fatto di voler inserire la sessualità tra gli atti gratuiti non sia una qualche forma di retaggio del romanticismo…

Anna F.

Posta un commento

scrivi qui il tuo pensiero