“HO UN PADRE E UNA MADRE. VOGLIO UN PRESIDENTE E UNA PRESIDENTE”. E’ uno slogan delle donne egiziane che hanno manifestato ieri in Piazza Tahir, uno slogan che mi intriga, lo propongo pertanto alla discussione.
Non possiamo ovviamente sapere cosa significhi per chi lo ha espresso. Ma cosa evoca e fa risuonare in noi?
Quote rosa e pari opportunità?
Una logica di sudditanza? O cosa?
A me piace per due ragioni.
Perché duplica invece che spartire, affianca invece che escludere, sceglie la logica della complementarietà e dell’E invece che quella dell’O.
E perché, evocando i contenuti del potere e del governo, li associa alla coppia genitoriale, alle funzioni paterne e materne.
Cosa può significare il “paterno” nei compiti di governo? E cosa il “materno”? Governare come padre, governare come madre… cosa evoca in noi?
Livia
generazioni di donne
Il nostro è un gruppo di donne che si riunisce una volta ad ogni stagione: senza proporci conclusioni o azioni collettive dedichiamo una giornata al pensiero condiviso. Gli argomenti per noi più significativi vengono di volta in volta proposti sul nostro blog. Invitiamo alla dicussione sia le donne che gli uomini.
mercoledì 9 marzo 2011
lunedì 31 gennaio 2011
Prostituzione colpevolizzata? Monica Lanfranco di Marea apre una discussione
Riceviamo da Monica Lanfranco di Marea ( http://www.mareaonline.it/ ) un intervento che pubblichiamo:
I numerosi cartelli che c'erano al flash mob di Torino con su scritto 'Cavaliere, l'Italia non è una repubblica fondata sulla prostituzione. Dimissioni' sono sembrati efficaci alla maggior parte di noi a Genova, che infatti li hanno ripresi al flash mob genovese. Qualcuna ha sostenuto che quella scritta dava adito ad una 'colpevolizzazione' della prostituzione, e rischiava di spostare l'attenzione sul centro del problema, ovvero sul fatto che siamo governate e rappresentate da una classe politica corrotta e iniqua. Alcune hanno sottolineato, anche sulla stampa, che se qualcuna si vuole vendere per scelta è libera di farlo e che sono fatti suoi.
Mi sento di dire che liquidare la questione del mercimonio delle giovani (e del consenso dei padri, madri e fidanzate, come ho scritto nel pezzo dal titolo Magari, uscito su Liberazione la scorsa settimana ) come fatti privati è pericoloso.
'Sono fatti loro' è una frase ambigua: il pensiero e la pratica femminista si è lungamente interrogata sul valore simbolico delle scelte, laddove non solo i grandi mutamenti legislativi ma prima di essi i comportamenti che da individuali diventano esempio collettivo e rompono la tradizione spesso assumono importanza centrale.
E' stato così nel mondo del lavoro, nelle famiglie, nella società.
Fa o no simbolicamente ( e quindi politicamente) la differenza che le giovani che vengono da paesi a maggioranza islamica dicano sì o no ad indossare il velo?
E' o no simbolicamente ( e quindi politicamente) rilevante che le donne in nero a Gerusalemme abbiamo detto di essere contro la politica del loro governo verso i palestinesi, pur sapendo il rischio di essere tacciate di antiebraismo?
Sono d'accordo che l'enfasi è da porre sul cliente, e non sulla prostituta,ce lo insegnano le nordiche che hanno pensato, sul tema della compravendita sessuale, a porre l'accento per una volta non sulla donna ma sull'uomo, che da noi si dà per scontato che in quanto maschio abbia connaturato nel dna la rapacità sessuale seriale.
Penso però che se non mettiamo a tema che essere libere non è fare quello che ci pare, ma ragionare sulla libertà in connessione con la responsabilità e la competenza non rendiamo giustizia al percorso che, almeno in Italia, dalla proclamazione della repubblica fin qui quattro generazioni di donne dei femminismi hanno fatto.
'Io sono mia', sempre per come la vedo io, non significava che quindi mi sarei potuta vendere, ma assolutamente il contrario.
Rispetto il percorso di Carla Corso e Pia Covre, e ho stimato fino all'ultimo il lavoro di Roberta Tatafiore, pur nella grande distanza di alcune visioni e riflessioni. Resto però dell'idea, per citare un vecchio articolo di Rossana Rossanda, che accanto alla necessità di smascherare l'ipocrisia di chi invoca la morale pubblicamente e poi nel privato è utilizzatore finale ci sia anche quella di affermare che in una società equa e giusta l'orizzonte di libertà non è quello della vendita di sè, per quanto scelta:connettere sessualità e denaro è comunque un atto che automaticamente inscrive questo gesto dentro al mercato, e quindi non cambia per nulla la logica capitalistica e neoliberista nella quale oggi siamo prigioniere e prigionieri. Non eravamo noi che dieci anni fa come femministe a Punto G dicevamo che ci sono beni indisponibili, e tra questi, oltre alle risorse del pianeta, c'era la dignità e l'inviolabilità dei corpi da strappare alle logiche del neoliberismo? Il fatto che oggi sia scontato che se sei carina puoi aspirare a fare la velina (magari passando dal letto del produttore, come nel film Ricordati di me) non mi pare possa essere annoverato come un traguardo raggiunto anche grazie alle lotte delle donne.
I numerosi cartelli che c'erano al flash mob di Torino con su scritto 'Cavaliere, l'Italia non è una repubblica fondata sulla prostituzione. Dimissioni' sono sembrati efficaci alla maggior parte di noi a Genova, che infatti li hanno ripresi al flash mob genovese. Qualcuna ha sostenuto che quella scritta dava adito ad una 'colpevolizzazione' della prostituzione, e rischiava di spostare l'attenzione sul centro del problema, ovvero sul fatto che siamo governate e rappresentate da una classe politica corrotta e iniqua. Alcune hanno sottolineato, anche sulla stampa, che se qualcuna si vuole vendere per scelta è libera di farlo e che sono fatti suoi.
Mi sento di dire che liquidare la questione del mercimonio delle giovani (e del consenso dei padri, madri e fidanzate, come ho scritto nel pezzo dal titolo Magari, uscito su Liberazione la scorsa settimana ) come fatti privati è pericoloso.
'Sono fatti loro' è una frase ambigua: il pensiero e la pratica femminista si è lungamente interrogata sul valore simbolico delle scelte, laddove non solo i grandi mutamenti legislativi ma prima di essi i comportamenti che da individuali diventano esempio collettivo e rompono la tradizione spesso assumono importanza centrale.
E' stato così nel mondo del lavoro, nelle famiglie, nella società.
Fa o no simbolicamente ( e quindi politicamente) la differenza che le giovani che vengono da paesi a maggioranza islamica dicano sì o no ad indossare il velo?
E' o no simbolicamente ( e quindi politicamente) rilevante che le donne in nero a Gerusalemme abbiamo detto di essere contro la politica del loro governo verso i palestinesi, pur sapendo il rischio di essere tacciate di antiebraismo?
Sono d'accordo che l'enfasi è da porre sul cliente, e non sulla prostituta,ce lo insegnano le nordiche che hanno pensato, sul tema della compravendita sessuale, a porre l'accento per una volta non sulla donna ma sull'uomo, che da noi si dà per scontato che in quanto maschio abbia connaturato nel dna la rapacità sessuale seriale.
Penso però che se non mettiamo a tema che essere libere non è fare quello che ci pare, ma ragionare sulla libertà in connessione con la responsabilità e la competenza non rendiamo giustizia al percorso che, almeno in Italia, dalla proclamazione della repubblica fin qui quattro generazioni di donne dei femminismi hanno fatto.
'Io sono mia', sempre per come la vedo io, non significava che quindi mi sarei potuta vendere, ma assolutamente il contrario.
Rispetto il percorso di Carla Corso e Pia Covre, e ho stimato fino all'ultimo il lavoro di Roberta Tatafiore, pur nella grande distanza di alcune visioni e riflessioni. Resto però dell'idea, per citare un vecchio articolo di Rossana Rossanda, che accanto alla necessità di smascherare l'ipocrisia di chi invoca la morale pubblicamente e poi nel privato è utilizzatore finale ci sia anche quella di affermare che in una società equa e giusta l'orizzonte di libertà non è quello della vendita di sè, per quanto scelta:connettere sessualità e denaro è comunque un atto che automaticamente inscrive questo gesto dentro al mercato, e quindi non cambia per nulla la logica capitalistica e neoliberista nella quale oggi siamo prigioniere e prigionieri. Non eravamo noi che dieci anni fa come femministe a Punto G dicevamo che ci sono beni indisponibili, e tra questi, oltre alle risorse del pianeta, c'era la dignità e l'inviolabilità dei corpi da strappare alle logiche del neoliberismo? Il fatto che oggi sia scontato che se sei carina puoi aspirare a fare la velina (magari passando dal letto del produttore, come nel film Ricordati di me) non mi pare possa essere annoverato come un traguardo raggiunto anche grazie alle lotte delle donne.
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mercoledì 30 giugno 2010
I rituali della politica
Il nostro gruppo di donne, nella sua ricerca di linguaggi e temi rappresentativi del mondo in continua trasformazione e di un nuovo modello socio-culturale, ha ritenuto utile discutere di “rituali”.
“Rituali” è termine usato per descrivere procedure di relazione in uso tra i componenti di ogni forma di comunità, in tempi e luoghi diversi.
Nel nostro incontro della primavera 2010 siamo state fondamentalmente d’accordo sul fatto che tutti i tipi di relazioni codificate hanno "firma" maschile, se si tratta di potere esplicito e pubblico (la guerra, i governi, l'economia, l’organizzazione delle imprese, i matrimoni ...), mentre hanno firma femminile se privi di questo potere esplicito e pubblico: la cura delle persone, l'accompagnamento dei morti, la confezione del cibo nella famiglia, all'interno della casa; la cura delle relazioni e dei rapporti all0interno delle organizzazioni strutturate.
Contemporaneamente, anche dove le donne sono ormai presenti in ruoli di responsabilità, prestigio, potere, non sembra che siano cambiate le modalità di funzionamento (i rituali) delle rispettive organizzazioni, luoghi politici, di lavoro.
Gli interrogativi sono: “perché” le donne accettano, o devono accettare, o non sanno (o non hanno la possibilità di) proporre modalità alternative di rapporto e di relazione? Come trovare modalità, che non esistono ancora, per un cambiamento dei reciproci poteri maschili e femminili, tenendo presente che una conflittualità resta inevitabile e necessaria?
Vai al sito www.generazioni-di-donne.it dove trovi la trascrizione dell'incontro
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se vuoi scrivere il tuo pensiero clicca sulla voce "commenti"
“Rituali” è termine usato per descrivere procedure di relazione in uso tra i componenti di ogni forma di comunità, in tempi e luoghi diversi.
Nel nostro incontro della primavera 2010 siamo state fondamentalmente d’accordo sul fatto che tutti i tipi di relazioni codificate hanno "firma" maschile, se si tratta di potere esplicito e pubblico (la guerra, i governi, l'economia, l’organizzazione delle imprese, i matrimoni ...), mentre hanno firma femminile se privi di questo potere esplicito e pubblico: la cura delle persone, l'accompagnamento dei morti, la confezione del cibo nella famiglia, all'interno della casa; la cura delle relazioni e dei rapporti all0interno delle organizzazioni strutturate.
Contemporaneamente, anche dove le donne sono ormai presenti in ruoli di responsabilità, prestigio, potere, non sembra che siano cambiate le modalità di funzionamento (i rituali) delle rispettive organizzazioni, luoghi politici, di lavoro.
Gli interrogativi sono: “perché” le donne accettano, o devono accettare, o non sanno (o non hanno la possibilità di) proporre modalità alternative di rapporto e di relazione? Come trovare modalità, che non esistono ancora, per un cambiamento dei reciproci poteri maschili e femminili, tenendo presente che una conflittualità resta inevitabile e necessaria?
Vai al sito www.generazioni-di-donne.it dove trovi la trascrizione dell'incontro
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